La suscettibilità di un individuo a reagire con ansia quando incontra una situazione potenzialmente allarmante è determinata in gran parte dal tipo di previsione che egli effettua sulla probabile disponibilità delle figure di attaccamento.
Quando si manifesta la “fobia della scuola” (Johnson e altri, 1941) o rifiuto della scuola un fanciullo non solo si rifiuta di andare a scuola, ma manifesta molta angoscia se si insiste perché ci vada.
La maggior parte di questi fanciulli resta a casa durante le ore di scuola. Non di rado questo stato è accompagnato, o mascherato, da sintomi psicosomatici di un tipo o di un altro, per esempio anoressia, nausea, dolori addominali, debolezza fisica. I fanciulli dicono di avere paura delle situazioni più svariate: degli animali, del buio, di essere maltrattati, di qualcosa che possa capitare alla madre, di essere abbandonati.
Qualche volta un fanciullo appare in preda al panico. Sono cosa comune il pianto e un malessere generale. Di regola si tratta di fanciulli ben educati, ansiosi e inibiti. La maggior parte di essi appartiene a famiglie integre, non ha sperimentato lunghe o frequenti separazioni dai familiari, ha dei genitori che dicono di essere preoccupati per il figlio e per il suo rifiuto di andare a scuola.
Il rapporto tra genitori e figli è stretto, qualche volta fino al soffocamento, c è una relazione tra ansia nei confronti della scuola e la tipologia dell’attaccamento ansioso, in queste interazioni familiari la madre, o più raramente il padre, soffre di angoscia cronica circa le figure di attaccamento.
Un ultimo aspetto interessante da considerare è che la metà dei genitori di questa tipologia aveva avuto durante la loro infanzia sintomi identici a quelli presentati dai propri figli. In particolare il periodo che coincide con la scuola dell’obbligo è caratterizzato dal fatto che al fanciullo viene richiesta una buona riuscita nello studio, questa è basata sui bisogni di autostima e di base autoaffermazione, che devono essere appagati sia dalle figure che detengono il potere che dai coetanei.
Il fallimento scolastico, le reazioni degli altri, genitori, compagni, insegnanti , ecc, e la conseguente cattiva immagine di sé nell’ambito del successo scolastico, potrebbero aver contribuito a un autostima globale del ragazzo. L’autostima è una dimensione emozionale importantissima in ambito scolastico (Miller L.C. 1981).
A parità di condizioni, un alunno con una buona autostima progredirà di più e più facilmente verso il raggiungimento degli obiettivi che sono stati programmati per lui. Al contrario, un alunno scontento di sé, intimamente convinto di non essere all’altezza dei compiti che gli vengono via via proposti, incapace di trarre soddisfazione dai suoi successi parziali perché i suoi standard e le sue aspettative sono sempre posti “più in là”, sarà un alunno difficile, anche se avrebbe molte potenzialità per riuscire; sarà un alunno sfiduciato e demotivato, sempre pronto a cogliere il lato negativo delle cose che gli vengono proposte e delle sue stesse prestazioni.
Bisognerà osservare con attenzione se di solito gli sforzi dell’alunno per ottenere il risultato sono coronati da successo; se egli è capace di reagire adeguatamente ai successi e ai fallimenti; se tende a porsi obiettivi realistici o se, i suoi obiettivi tendono ad essere troppo facili o troppo difficili; se affronta le situazioni nuove con fiducia o timore e ansia; se appare soddisfatto dei suoi risultati scolastici e delle sue amicizie in classe, perché in questi casi il fanciullo sta attuando delle “strategie autodanneggianti”. Nelle prestazioni scolastiche,a un maggiore e più frequente uso di self-handicap corrispondono, risultati di apprendimento inferiori (Riggs 1992). Questa relazione negativa può riflettere aspetti diversi quali, il minore impegno, capacità limitate, ridotta pratica.
Inoltre i fanciulli agiscono all’interno del proprio ambiente, i loro comportamenti si evolvono sulla base dei loro successi e fallimenti, del modo in cui le persone che li circondano reagiscono alla loro presenza e alle loro azioni e in base al modo in cui gli altri influenzano i loro comportamenti e comunicano determinate aspettative.
Approfondimento sul tema dell’attaccamento
Bowlby (1969) postula che negli individui è presente un sistema di schemi comportamentali a base innata frutto della selezione naturale, detto sistema dell’attaccamento che spinge il fanciullo a una specifica relazione con la madre. Il termine attaccamento indica la ricerca del contatto con una persona specifica, e il dolore dovuto ad una separazione da essa.
Per Bowlby il fatto che una persona sia “attaccata” ad un’altra è la condizione necessaria per poter costruire una autonomia individuale.
Il modo in cui gli individui rispondono ad un evento stressante è guidato dalle aspettative di ciascuno circa le probabili risposte della figura d’accudimento alle richieste di protezione.
Mary Ainsworth (1978), ha proposto una classificazione di attaccamento che è stata verificata nel setting sperimentale definito “strange situation”. Si tratta di una situazione standard nella quale, volta per volta, il fanciullo si trova con la madre da solo, da solo con un estraneo, con la madre e con un estraneo.
Dalle reazioni infantili alle diverse condizioni si evince lo stile di attaccamento del piccolo alla madre. Le tipologie dell’attaccamento costituiscono delle diverse modalità di interazione con la madre che con la diversa qualità dell’attaccamento che ne deriva sono alla base della formazione di rappresentazioni mentali, di modelli operativi interni (IWM)del sé e della figura di attaccamento, e per estensione degli altri: essi si basano su una serie di aspettative concernenti le figure di attaccamento, la loro disponibilità e le loro probabili risposte alle situazioni in cui la sicurezza sia minacciata e si mantengono relativamente stabili nel corso dello sviluppo. Sono formati , inoltre, da aspettative che riguardano il proprio comportamento, il proprio self in relazione a tali figure nella situazione di sconforto.
Gli individui sicuri sviluppano un immagine di sé stessi come degni d’amore, come capaci di tollerare le separazioni temporanee e come in grado di affrontare le situazioni di difficoltà; e si rappresentano la figura di attaccamento e gli altri, come disponibili ad aiutare in caso di bisogno e come pronti a negoziare i termini di eventuali separazioni ed ipotetici disaccordi.
Gli individui evitanti formano un modello mentale del self come di persona non degna d’affetto, e che deve far conto solo su sè stessa; e un modello della figura d’attaccamento e degli altri come assenti in caso di necessità, o ostili e rigidi.
Gli individui ambivalenti hanno un modello confuso del self come di persona intermittentemente: amabile, vulnerabile, non in grado di affrontare da sola le difficoltà; e un modello della figura di attaccamento e della realtà esterna come imprevedibile, minacciosa e ostile.
Gli individui disorganizzati hanno modello del self e degli altri multipli e incoerenti, con un immagine del self come di individuo esso stesso minaccioso e allo stesso tempo impotente e vulnerabile, costantemente in pericolo, e una rappresentazione della realtà esterna come perennemente catastrofica.
Apprendimento Autonomo
Saper usare strategie di pianificazione e monitoraggio dell’apprendimento e della comprensione ed essere consapevoli della loro efficacia in situazioni diverse, rappresentano aspetti fondamentali della capacità di apprendimento autonomo.
Significa che anche saper modulare tali processi in relazione: agli obiettivi di apprendimento che l ‘individuo si pone, alle percezioni della propria competenza, all’atteggiamento nei confronti degli insuccessi passati e alle aspettative circa le prestazioni future, significa, insomma, autoregolazione (Harter, 1990) . L’autoregolazione è un concetto che si riferisce alla complessiva organizzazione del comportamento in situazioni di apprendimento e implica aspetti motivazionali, come la scelta di obiettivi, lo sforzo, la persistenza. Le strategie motivazionali riguardano il modo in cui l’allievo cerca di conservare la stima o senso del valore del sé (Harter, 1990).
Sono proprio le strategie motivazionali difensive che vengono messe in atto per prevenire la frustrazione conseguente a un insuccesso, tra queste: le strategie di auto-ostacolo che consistono nel creare un qualche impedimento –reale o immaginario- alla propria prestazione , in modo da avere una giustificazione nel caso di un eventuale insuccesso e una maggiore gratificazione da parte degli altri in caso di successo (Berglas S., Jones E., 1978).
Un esempio di ostacoli dei più frequenti è il procrastinare gli impegni, lo stabilire obiettivi irraggiungibili o troppo facili, che consente di attribuire l’eventuale fallimento o riuscita alle caratteristiche del compito, il ritiro dell’impegno, l’uso di sostanze che possono compromettere l’efficienza intellettiva: alcool o psicofarmaci. Gli ostacoli presunti, possono risultare meno convincenti. Esempi tipici sono le dichiarazioni d’ansia, di stress, di debolezza o di malattie. Il loro scopo è di preservare la propria immagine di competenza attraverso la dimostrazione della propria debolezza e la ricerca di comprensione e aiuto da parte di altri.
Lo scopo delle strategie di autosabotaggio è quello di preservare la propria immagine di competenza.
La loro funzione è dunque quella di sostenere un immagine positiva di sé. Le occasioni in cui si utilizzano tali strategie in maniera più frequente, sono quelle competitive o di cruciale importanza, quando le aspettative di riuscita proprie e degli altri sono alte.